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Praticare un’arte marziale per la crescita personale (2a parte)

La pratica di un’arte marziale viene spesso vista come accrescimento della propria forza e destrezza al fine di saper gestire al meglio un’aggressione e imparare come sconfiggere un nemico.

Fortunatamente oggi non ci è più richiesto di batterci per la nostra sopravvivenza, la sicurezza ci è garantita dalle forze dell’ordine e subire un’aggressione che metta a repentaglio la nostra vita non è cosa di tutti i giorni (seppur sapersi difendere possa essere utile e auspicabile).

Praticare un’arte marziale, oggi, per me, significa avere l’occasione di percorrere un fantastico viaggio di conoscenza dentro se stessi.

Karate-do, Aiki-do, Ju-do, Ken-do, Bu-do non a caso contengono il suffisso “do” che in giapponese significa letteralmente “ciò che conduce” nel senso di “percorso”, “via”, “cammino”. Non si parla in senso solo fisico ma si chiama in causa anche in significato spirituale.

Il suffisso sta a significare una evoluzione dell’arte marziale da pura e semplice tecnica di combattimento a disciplina volta a realizzare nel praticante un’elevazione di tipo “spirituale” nel quale si utilizza la tecnica marziale come strumento di perfezionamento delle abilità e delle capacità interiori del praticante.

Attraverso la pratica costante si sperimenta uno stato di auto-ascolto in cui si ha una maggiore consapevolezza di sé, attraverso la simulazione di un combattimento si impara a conoscere meglio se stessi, si sperimenta l’ascolto dell’altro in una sorta di stato empatico persistente, grazie all’allenamento si rafforza l’intenzione e la presenza nel qui e ora e il tempo e lo spazio si dilatano, svanisce la paura, regna uno stato di “quiete attiva”.

In tutto questo la tecnica è solo un escamotage, una sfumatura, un mezzo utile al principiante per fare pratica e raggiungere uno stato di coscienza e di unione e comunione tra corpo, mente e spirito.

Ma mano che ci si allena e aumenta la consapevolezza, la tecnica diventa via via meno importante, si inizia a fare sintesi, non è più importante cosa si fa perché in ogni movimento o “non movimento” si percepisce l’essenza e la perfezione del tutto e l’arte marziale inizia a vivere in ogni cosa che si fa.

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Matteo Tessarotto
Articolo di Matteo Tessarotto.

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